La mostra sarà aperta fino al 22 agosto 2021, nasce da un’idea di Livia e Silvia Aymonino. Il curatore Manuel Orazi attraverso progetti, schizzi, foto d’archivio ed interviste pone l’attenzione anche sull’uomo che c’era dietro il grande architetto Aymonino.
La mostra monografica su Aymonino (1926-2010) è ospitata presso la Triennale di Milano insieme a quella di altri due grandi designer Enzo Mari e Vico Magistretti, tuttavia la figura di Aymonino sembra passare spesso in secondo piano rispetto ai grandi del Novecento. Manuel Orazi tenta dunque di accendere nuovamente i riflettori su questo architetto viaggiando su due linee parallele: la vita privata e quella lavorativa.
Ne emerge una figura complessa che si dedica alla pittura così come alla politica, all’editoria così come all’insegnamento, come afferma lo stesso curatore Orazi:
“Gli architetti, che lavorano all’incrocio di diverse discipline, sono inevitabilmente poliedrici e lo sono stati ancora di più nella seconda metà del ‘900. Aymonino non fa eccezione, ma ha un elemento di unicità, legato alle sue geografie biografiche e professionali.”
Aymonino è di Roma ma il suo operato si sposta allo IUAV di Venezia nel 1963, poi a Milano realizza tra il 1967 e il 1972 il complesso Monte Amiata al Quartiere Gallaratese, per poi spostarsi in tutta Italia superando le resistenze regionali dell’epoca. Il Gallatarese è il progetto più famoso ed anche il più importante di Aymonino se consideriamo le parole del curatore Orazi: “Un progetto come il Gallaratese di Milano è la traduzione costruita del confronto e scambio proficuo tra saperi, discipline e personalità diverse. Non si tratta solo del tradizionale affiancamento di teoria e prassi, ma della capacità di articolare in maniera organica riflessione storico-critica e teorica ed esperienza sul campo.”
Il titolo della mostra rende onore proprio a questa sua poliedricità e straordinaria capacità di destreggiarsi tra ambiti diversi tra loro, senza focalizzarsi in schemi prefissati ma distaccandosene di volta in volta come dei piccoli tradimenti.
Il soggetto principale dell’allestimento a cura di Federica Parolini sono i suoi disegni, in grande formato, che, come dei “pop-up”, saltano fuori dando vita agli schizzi del grande architetto, trasportando il visitatore in una onirica Wunderkammer. I caratteristici quadernetti rossi che utilizzava per disegnare, appuntare aneddoti aiutano a comprendere meglio la sua vita quotidiana. Il rapporto con le diverse città che lo hanno accolto viene narrato in senso cronologico Roma, Matera, Venezia, Milano, Pesaro. Ogni città ha contribuito ad influenzare l’architetto, in uno scambio reciproco fondamentale in periodi come quello del dopoguerra, periodo in cui egli si impegnò particolarmente nella ricostruzione delle periferie.
L’obiettivo della mostra è quello di portare la figura di Aymonino alla conoscenza dei “non addetti ai lavori”, di marcare l’attualità della sua personalità, e di superare quell’oblio, che a causa di oscillazioni di gusto, lo ha relegato in una posizione d’ombra.
Il Presidente della Triennale di Milano, Boeri ha dichiarato infatti: “Uno degli obiettivi di Triennale è restituire attraverso le proprie mostre e iniziative la grandezza di figure complesse della cultura italiana del progetto, portando all’attenzione nuove chiavi interpretative, superando facili etichette e inquadramenti, a volte anche contribuendo a riscoperte e riletture critiche inedite. Questa mostra offre l’opportunità per rivisitare non solo il profilo professionale del progettista, ma anche l’intreccio di vite e passioni dell’uomo. Aymonino è stato in grado di proporre un originale discorso sulla città: la ha studiata, discretizzata, scomposta. Quello di Aymonino, nei suoi progetti e nei suoi testi, è un invito a spostare lo sguardo, da orizzontale a verticale, come ben esemplificato dagli edifici del complesso del Monte Amiata nel quartiere Galleratese di Milano del 1967-1972”.
Il progetto della Smart Forest City di Cancun si presenta come la pianificazione urbana di una nuova Città Foresta in Messico, che si estende per 557 ettari, in grado di ospitare fino a 130 mila abitanti. La città foresta è una forma di ecosistema urbano ibrido mai sperimentato prima: basti pensare che su un terreno di 557 ettari ben 400 saranno coperti di vegetazione, ospitando 290 mila alberi, per un totale di 2,3 alberi per abitante. Il resto sarà composto da arbusti e cespugli, parchi pubblici, giardini privati, tetti e facciate verdi scelti e progettati dall’architetta paesaggista Laura Gatti.
La Smart Forest City è concepita come un campus, dove si insedieranno dipartimenti universitari, organizzazioni e aziende che si stanno occupando dei grandi temi della sostenibilità ambientale e del futuro del Pianeta. Al suo interno sono previsti alcuni centri di ricerca e sviluppo per ospitare studenti e ricercatori provenienti dalle università messicane e dalle accademie più qualificate del mondo.
E' pensata come un insediamento autosufficiente dal punto di vista energetico mediante un anello perimetrale di pannelli fotovoltaici e un canale di acqua collegato con un impianto ipogeo al mare che permettono di alimentare la città in modo sostenibile. Tale scelta permette di sviluppare un’economia circolare intorno al tema dell’utilizzo dell’acqua, elemento chiave del progetto, che viene raccolta all’ingresso della città con una grande darsena e una torre di desalinizzazione per poi essere successivamente distribuita in un sistema di canali permettendone la diffusione nell’intero insediamento e l’irrigazione dei campi agricoli circostanti.
La Smart Forest City fa uso della gestione dei cosiddetti “Big Data” per migliorare l’amministrazione della città e di conseguenza la qualità di vita dei propri cittadini. Una rete di sensori di ogni tipo distribuiti lungo la smart city e incorporata all’interno degli edifici, nelle strade, negli impianti e nei luoghi pubblici per raccogliere e analizzare in tempo reale dati utili a una migliore gestione della vita pubblica. Sarà inoltre all’avanguardia sul tema della mobilità sostenibile. Sia i residenti che i visitatori dovranno infatti lasciare i veicoli che bruciano combustibili fossili al di fuori dell’insediamento e circolare con automobili elettriche e a guida autonoma. La città è progettata a misura d’uomo, non di auto, seguendo il principio che ogni abitante ha il diritto di avere a disposizione tutti i servizi di cui ha bisogno, nel raggio di un’adeguata distanza a piedi o in bici. Un concetto che appare quanto mai rivoluzionario nell’odierno panorama urbano.
Il progetto è pensato secondo i principi di un’urbanistica non deterministica, l’insediamento si sviluppa partendo dal presupposto che i suoi edifici possano adattarsi a eventuali trasformazioni nel tempo.
"Abbiamo progettato la struttura della città, quindi le infrastrutture energetiche, quelle legate alla mobilità, le aree verdi, i poli di ricerca e quelli di attrazione lasciando una grande flessibilità nella distribuzione delle diverse tipologie edilizie che potranno essere diversamente articolate nei cinque grandi comparti previsti dal Masterplan. Lotti e comparti residenziali saranno in grado di accogliere il cambiamento del mercato che avviene nel tempo." ha spiegato l’architetto Francesca Cesa Bianchi, partner e project Director che ha curato i dettagli della Città Foresta insieme all’archietto Stefano Boeri.
La cattedrale di Notre-Dame, uno dei monumenti storici di Parigi più famosi al mondo, è bruciata nella serata di lunedì 15 aprile a causa di un incendio che si è sviluppato nella parte superiore dell’edificio, in corrispondenza dei ponteggi montati intorno alla guglia, nell’ambito di alcuni lavori di restauro. Nella mattina di martedì 16 aprile, l’incendio è stato spento completamente dai vigili del fuoco, ma la cattedrale ha subito gravi danni che richiederanno un lungo lavoro di ricostruzione e restauro.
La gravità dell’incendio è diventata evidente agli occhi di tutti noi quando alle 19:50 è crollata la guglia di Notre-Dame, uno degli elementi architettonici simbolo della cattedrale stessa. Collocata sulla crociera , era alta 45 metri ed era stata costruita nel 1860 su progetto di Eugène Viollet-le-Duc: quella originale del Duecento era stata demolita alla fine del diciottesimo secolo. Nel crollo, la pesante guglia (circa 750 tonnellate) ha causato seri danni alla volta della cattedrale, sfondando una volta a crociera, uno dei danni, per ora, più evidenti dall’interno. La costruzione di Notre-Dame fu avviata nel dodicesimo secolo. Nel corso degli anni, la cattedrale ha subito numerosi rimaneggiamenti fino ad assumere, nell’Ottocento, l’aspetto che conosciamo oggi. Negli ultimi anni, l’edificio aveva iniziato a mostrare diversi segni di deterioramento, causati soprattutto dall’inquinamento atmosferico. I lavori in corso poco prima dell’incendio erano dedicati al restauro della guglia, con un costo stimato intorno ai 6 milioni di euro.
Poco dopo il grande incendio il primo ministro francese Édouard Philippe, nel corso di una conferenza stampa, ha annunciato pubblicamente la sua intenzione di lanciare un concorso internazionale di architettura per la ricostruzione della guglia crollata, specificando che l’obiettivo è quello di capire quale direzione seguire: se ricostruire la guglia disegnata da Viollet-le-Duc o se progettare una nuova guglia “in linea con le tecniche e le sfide del nostro tempo”. In attesa dell’ufficialità del concorso, architetti e creativi di tutto il mondo hanno iniziato a scatenare la propria fantasia proponendo dei personali progetti di ricostruzione.
Lo Studio Fuksas, guidato da Massimiliano e Doriana Fuksas, ipotizza una guglia in cristallo Baccarat che possa essere illuminata di notte. Sarebbe il simbolo della fragilità della storia, ma anche di una rinnovata spiritualità.
Norman Foster ha immaginato una struttura "leggera e ariosa", che si distacca dall'originale,ma che possa comunque rappresentare il perfetto connubio tra antico e moderno servendosi delle tecniche più all'avanguardia.
Per ricordare il forte legame con la storia, l’architetto russo Alexander Nerovnya propone la combinazione tra un tetto in vetro e un guglia dalla struttura più tradizionale. Sempre con il chiaro obiettivo di mantenere vivo il forte legame tra storia antica e moderna.
La proposta dello studio di Bratislava Vizumatelier presenta una torre dalla struttura sottile e leggera, sormontata da un fascio di luce rivolto verso il cielo. “Durante il medioevo i costruttori cercarono di raggiungere il cielo [con le loro costruzioni] e Eugène Viollet-le-Duc ci riprovò nel XIX secolo, avvicinandosi di molto. Ora è possibile farlo accadere grazie alle nuove tecnologie", commentano i progettisti sul loro profilo Instagram.
Tra le differenti proposte, ce ne sono anche alcune che si distinguono per essere green. Un esempio è la ricostruzione dello Studio NAB, guidato da Nicolas Abdelkader e Marie-Alizée Tulli. Descritta come una cattedrale "in green for all", il progetto vedrebbe la creazione di una serra sul tetto che abbraccia la reintroduzione della biodiversità, l'educazione all’agricoltura urbana e la solidarietà.
Studio Drift, con sede ad Amsterdam, ha proposto di realizzare un nuovo tetto per la cattedrale utilizzando la plastica raccolta dalle acque inquinate dei nostri oceani, grazie al sostegno dell’associazione no-profit The Ocean Cleanup.
E' giusto lasciare libero spazio alla creatività e all'immaginazione, ma prima di tutta bisognerà verificare le condizioni di staticità della cattedrale, e questo lavoro richiederà ancora del tempo, anni, l'affascinante questione architettonica della guglia, per ora, dovrà aspettare.